INTERVISTA A NATALINA

Sandra Vincenzi    
febbraio 2013


Intervista a Natalina


Ogni parola ha un peso: e il peso della parola disabilità dipende da come si vive questa esperienza, c'è modo e modo di passarci da lì, dal portone della disabilità. E' un'esperienza vasta, una parola che racchiude tante e diverse esperienze, ecco perché non è una porta sul mondo, ma un portone da cui entrano tante persone, ognuna diversa con la sua storia diversa e un diverso modo di vivere la disabilità. E Natalina ci fa da apripista.


Tra le esperienze di famiglie con figli disabili che conosco, quella di Natalina e suo figlio Davide, di 7 anni, è veramente la più singolare, diversa da tutte le altre, unica. Sebbene ogni “storia di vita” sia unica e singolare, quella di Natalina e Davide da sempre mi ha colpito per tanti aspetti perché agli occhi e al cuore di chi li conosce e li frequenta c'è un imparare dalla loro storia che si trasforma in riflessione sociale allargata sulla disabilità; perché quello che loro vivono e condividono aumenta la sensibilità verso gli stati d'animo, i sentimenti altrui, l'ascolto e la comprensione degli altri, l'empatia, il saper stare con gli altri.

Le chiedo cosa le abbia insegnato la disabilità: “Prima di tutto ad avvicinarmi alla disabilità, cosa che una volta non riuscivo a fare; infatti avevo una difficoltà mia personale a relazionarmi con persone disabili, quando questa disabilità comportava anche ritardo, perché vedevo solo la disabilità. Invece se oggi mi capita di incontrare bambini che magari vivono la disabilità, l'istinto è quello di relazionarmi con loro come bambini, come persone, non guardo la loro disabilità”.

Le azioni lasciate sole non ci raccontano nulla: è nel momento in cui dialoghiamo con esse che si possono aprire porte di senso, dove chi racconta e chi ascolta possono entrambi imparare dall'esperienza.

L'esperienza di Natalina e Davide è portatrice di una proposta di lettura del mondo che può contribuire ad una ricerca di senso condivisa: sulla qualità della vita, sul vivere la disabilità, su sport e disabilità, sul senso di attraversare esperienze estreme e difficili nella vita.

Davide è affetto da Sindrome di Down e Natalina ne è venuta a conoscenza già durante la gravidanza. Sebbene in quel momento della sua vita non fosse sorretta dal padre di Davide nella scelta di farlo nascere, lei ha deciso di portare avanti la gravidanza da sola e così sette ani fa nacque Davide. Da subito la sua malformazione cardiaca lo costrinse ad un'ospedalizzazione prolungata che lo portò a subire due interventi chirurgici al cuore, che sono stati risolutivi ed hanno permesso a Davide di continuare a vivere.

Il tema della disabilità accompagna Natalina da sempre: “E' un'esperienza che ho vissuto già da quando ero bambina perché anche i miei genitori avevano una disabilità”.

Con Natalina siamo amiche: i nostri figli, nati uno a distanza di una settimana dall'altra, ci hanno fatto incontrare nel reparto di Patologia Neonatale dell'Ospedale di Bergamo nel luglio del 2005 e da allora ci frequentiamo.

“La disabilità è un pensiero a cui ricorro più volte nell'arco della giornata – mi confida Natalina – non la dimentico mai, ma lavoro con mio figlio per far sì che le cose possano migliorare, cambiare, perché lui possa raggiungere un'autonomia, anche se a volte non mi sembra di fare abbastanza”.

Unica figura genitoriale di riferimento, Natalina passa il primo anno di vita di Davide in Ospedale, dove la priorità è la sopravvivenza, non ancora la disabilità.

Una volta fuori pericolo Natalina contatta una specialista per avere indicazioni sul percorso riabilitativo da intraprendere con Davide: in tale percorso sui tre anni e mezzo viene consigliato di mettere Davide sugli sci, seguito da maestri specializzati di Asiago. Anche altre famiglie del territorio hanno fatto questa esperienza: ci sono bambini che prima gattonavano e dopo questa esperienza di settimana bianca hanno cominciato a camminare, a trovare equilibrio. Allora Davide non camminava ancora, neanche gattonava e fu così che Natalina decise di provare quello che sembrava impossibile ed iniziarono le settimane bianche ad Asiago.

“La prima volta che l'ho lasciato con il maestro sugli sci ho provato un'emozione bellissima perché lui non stava neanche in piedi allora, e poi era bellissimo vederlo cantare perché era felice quando scendeva, attaccato alla gamba del maestro, con le gambe incartonate per rendere rigidi gli arti. Era bello guardarlo sciare e pensavo che lui, in quel momento, poteva trovare divertente quello che stava facendo, non solo faticoso, non solo riabilitazione ma anche gioco. E' stata proprio una sorpresa...”.

Ridiamo insieme al ricordo delle prime settimane bianche e Natalina si emoziona sempre quando parla di Asiago. Oltre ai maestri specializzati ad Asiago c'è anche l'albergo che accoglie, in più settimane durante l'inverno, le famiglie con figli disabili che sciano. E in quell'ambiente si fanno tante conoscenze, si stringono relazioni nuove, si condivide una quotidianità straordinaria: “...Mi emoziono sempre all'idea di stare con tutti voi in quell'ambiente; di vedere mio figlio sugli sci. E' proprio un momento magico per me, sia perché lo condivido con persone che mi sono care; sia perché è una cosa che faccio insieme a Davide, che fa bene non solo a lui ma anche a me; per il posto – Asiago – dove siamo che è molto bello; per la condivisione con le altre famiglie con le quali mi sono sentita a casa fin dal primo momento. Poi là ho questa sensazione di sentirmi normale – tra virgolette – non giudicata come se fossi una persona strana, che vive una situazione strana, ma sento che tutto fila liscio”.

Le settimane bianche passano, così come il lavoro riabilitativo a casa, ma Davide non gattona, non sta in piedi, nonostante piccoli passettini avanti. E' allora che Natalina si decide a far fare a Davide una risonanza, per avvalorare i dubbi che negli anni si erano accumulati ed accertare la situazione neurologica in modo preciso. La risonanza rileva la presenza di almeno tre ischemie, subite da Davide nel corso delle operazioni chirurgiche effettuate. Tali ischemie hanno prodotto lesioni al cervelletto, per cui si spiega perché per Davide, già affetto da Trisomia 21, è così difficile verticalizzarsi e camminare.

E' stato un altro momento durissimo per Natalina quello, ma lei non ha mai smesso di sperare.

Guardiamo insieme le foto di Asiago di quest'anno – 2013 – e vediamo Davide che, per la prima volta, riesce a stare qualche minuto in piedi da solo sugli sci. Ricordiamo con grande soddisfazione e gioia di Natalina che quest'anno Davide, dopo le prime lezioni sugli sci, ha mosso dei passi da solo in albergo, e l'hanno visto tutti. Ancora, che con scarponi e sci riusciva a fare con la mamma dei passi, cosa impensabile negli anni passati.

La strada è quella giusta: “Stiamo vivendo lo sci come un'opportunità per divertirci e anche raggiungere un obiettivo che è quello del cammino autonomo per Davide. La stimolazione sensoriale che lo sci sa dare a Davide è una riabilitazione ed anche un gioco. E di anno in anno le fatiche diminuiscono perché ora Davide cammina tenuto per mano, mentre all'inizio dovevo portarlo sempre in braccio...”.

A Natalina piace lo sport. Lo vive come canale dove indirizzare le sue energie accumulate, come modo di tenersi in forma: “...è piacere del movimento, del sentire, consapevolezza del proprio corpo... è il momento in cui mi stacco dalle difficoltà quotidiane, ecco è il momento mio!”.

Natalina è proprio speciale: invece che chiudersi, è capace, come pochi, di condividere le sue difficoltà con amici, persone care, sconosciuti che diventano nuovi conoscenti, tessendo in questi anni una rete di relazioni e rapporti importanti intorno a lei e a Davide.

Dopo Asiago, a casa il lavoro continua: Natalina mette a Davide gli scarponi e lo mette sugli sci sul pavimento della zona giorno, per far sì che Davide continui a lavorare sull'equilibrio, sulla verticalità, sulla ricerca del proprio baricentro: sono esercizi di riabilitazione pratica. E quando Natalina e Davide li fanno ripensano con piacere alla neve, ad Asiago, ai maestri, alle piste... e tutto diventa più facile e acquista un senso nuovo. Perché un atleta non smette mai di allenarsi, e sogna i traguardi che raggiungerà, pregustandone la soddisfazione.


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